31 – Le madeleine di Hello Kitty

Quando ero piccola, intendo quando avevo sette-otto-nove anni, amavo Hello Kitty (che per me era una parola sola: Hellokitty). All’epoca, il gattino dalla faccia grande, non era così inflazionato come oggi. C’erano quaderni, diari, astucci, matite e penne (erano i gadget delle feste di compleanno dell’epoca), gomme profumate, bicchieri, borracce. Il tutto lo si poteva trovare in qualche cartoleria ben fornita. Forse anche alla Rinascente. Ma rimaneva, comunque, un marchio “esclusivo”.

Io ero fortunata. Mia madre, per il mio nono compleanno, mi aveva regalato una felpa. E io adoravo quella felpa. Era a girocollo, in cotone pesante. Kitty era disegnata sul davanti, su sfondo bianco. Ma la cosa più bella erano le maniche blu, tipo le magliette da baseball.
Per me quella felpa evocava un sogno: una ragazzina con le trecce e i capelli ramati, forse qualche lentiggine, gli occhi verdi e le spalle ossute, che usciva di casa con una mazza da baseball e si fermava a giocare nel campetto lì vicino. Quella felpa voleva anche dire una grande tazza di latte con i cereali. E anche una stanza con una finestra in legno bianco, una specie di davanzale interno per sedersi a guardare fuori e un albero attraverso il quale sgattaiolare fuori.
Non era un’immagine molto originale. Era la summa di quello che vedevo in tv, delle serie anni Ottanta, di quei film americani che passavano in televisione il sabato pomeriggio e che parlavano di bambini-eroi che salvavano amici, parenti, familiari. Senza perdere la loro innocenza. Con coraggio e determinazione.
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